Presentazione

Scheda spettacolo

FUNHOUSEchapter1

liberamente tratto da VERSO OCCIDENTE L’IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO

di DAVID FOSTER WALLACE

adattamento e regia Luca Bargagna

con Viviana Altieri, Luca Bargagna,  Dario Iubatti, Vincenzo D'Amato, Elisabetta Mandalari, Luca Mascolo, Massimo Odierna

ROMA - TEATRO DELL'OROLOGIO (Sala Orfeo)

via de’ Filippini n. 17 Roma

- 22-23 gennaio 2014 ore 21:00

- 28 febbraio 2014 ore 21:00

info e prenotazioni allo 06.6875550

FUNHOUSEchapter2

liberamente tratto da VERSO OCCIDENTE L’IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO

di DAVID FOSTER WALLACE

adattamento e regia Luca Bargagna

con Viviana Altieri, Luca Bargagna, Vincenzo D'Amato, Elisabetta Mandalari, Luca Mascolo, Massimo Odierna, Sara Putignano

ROMA - TEATRO DELL'OROLOGIO (Sala Orfeo)

via de’ Filippini n. 17 Roma

- 1 marzo  2014 ore 21:00

-2 mazro 2014 ore 17:30

info e prenotazioni allo 06.6875550

 



 


 

Quello che avviene dentro è troppo veloce,

 immenso e interconnesso e alle parole

non rimane che limitarsi a tratteggiarne

 ogni istante a grandi linee al massimo

 una piccola parte.

 Caro vecchio neon

 


 

Funhouse è un progetto teatrale attorno alla scrittura di David Foster Wallace. Un lungo viaggio all’interno del romanzo Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso di David Foster Wallace.

Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso è la storia di un gruppo di giovani in viaggio verso un luogo che forse non raggiungeranno mai, la cittadina di Collision, Illinois, per radunarsi con gli altri quarantaquattromila attori, attrici, burattinai, clown disoccupati che hanno interpretato spot pubblicitari di McDonald’s nel corso degli anni. “La riunione sarà enorme. Sovrumana. Quarantaquattromila persone che – sotto gli obiettivi delle telecamere – si riuniranno, si conosceranno e mangeranno. Mangeranno. Un’irruzione di consumo puro al novantanove virgola quarantaquattro per cento”.

Verso Occidente è un ritratto di un’epoca ormai in bilico fra sfinimento e saturazione, “fra input troppo banali da elaborare e input troppo intensi da sopportare”. È una critica decisa alle insidie della cultura dei media e della pubblicità, e alle degenerazioni della letteratura postmoderna. C’è già, in Wallace, l’idea che le relazioni umane non appartengano più agli esseri umani; infatti, nell’epoca della società dello spettacolo, noi non siamo che menti che attendono di essere riempite, emozioni che aspettano di essere manipolate dai media.

Al di là della fiction, Wallace parla di cose concrete, di aspetti reali della società in cui galleggiamo: la paura della solitudine, il moltiplicarsi delle fobie e delle nevrosi, il rapporto con il proprio corpo rispetto ai modelli che ci vengono proposti, la portata politica del sistema televisivo, l’influenza  della pubblicità, le deformazioni del consumismo.

Funhouse è un viaggio linguistico, un’immersione in una scrittura vertiginosa. In un’epoca che sembra privilegiare la semplificazione dei processi linguistici, la velocità e la banalità della comunicazione, il disimpegno e la superficialità, David Foster Wallace sceglie una scrittura difficile e impegnata. Questo autore di culto è un frullatore lisergico di cultura alta e cultura pop; la sua scrittura, immaginifica e potente, trascina il lettore in un vortice narrativo. La sua prosa carsica scorre veloce in un’esplosione di periodi articolati e pagine ricche di digressioni che lasciano senza fiato. E proprio la scrittura di Wallace sarà il centro e il motore del lavoro teatrale, in una costante ricerca delle possibilità recitative che questa lingua offre. Una lingua ardua, difficile, lontana anni luce da una scrittura teatrale, ma proprio per questo ricca di fascino e necessaria per la capacità di penetrare nel fondo delle cose. Ogni atomo di questa lingua va abitato con il corpo e con la voce, e lo spettacolo sarà anche lo spettacolo della scrittura.

Per Wallace la narrativa non era fatta per essere letta ad alta voce, ma per essere letta interiormente, per marciare al passo dei circuiti mentali delle persone, perché la voce che sentiamo nella nostra testa è molto diversa dal suono della nostra laringe. Wallace in qualche modo immaginava e cercava un rapporto di autenticità con i propri lettori, attraverso una voce senza filtri. Partendo da queste considerazioni sulla narrativa, è maturata l’idea di sviluppare uno spettacolo da un suo romanzo. In qualche modo un adattamento è un’operazione di traduzione e di filtro, e il tradimento che si consuma è un tentativo per accedere ad una dimensione più profonda rispetto ad una semplice lettura interiore. La sfida è provare a dare corpo ad uno stile volutamente insolito, ridondante, non lineare e bizzarro. Materializzare il corpo di una scrittura così densa nel corpo di un attore, plasmare uno strumento linguistico così complesso con l’emotività (complessa) dell’attore, sviluppare quindi un vero corpo a corpo per trovare, per dirla con Wallace, “la linfa interiore”delle cose.

Verso Occidente è anche un omaggio, molto personale ed originale, ad una delle opere fondamentali della letteratura postmoderna americana: il racconto Lost in the Funhouse di John Barth.

La casa stregata, nello spettacolo, rappresenta la civiltà consumistica nella quale ormai tutti viviamo: “Who lives there, when push comes to shove?” In un’epoca come la nostra, in cui abbiamo a disposizione una quantità enorme di intrattenimento di massa, bisognerebbe cercare di capire come il teatro e l’arte in genere possano ricavarsi uno spazio proprio. Funhouse prova a sviluppare una riflessione più ampia sull’arte: uno spettacolo che riflette sullo spettacolo, sul senso del fare teatro nella società occidentale.

 

 


 

 

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